Autorità: a testa bassa


Ho capito qual è il problema dei miei colleghi tedeschi: come molti dei loro connazionali hanno paura dell’autorità e davanti alla persona che la rappresentano tengono la bocca serrata. Sempre.


Andate a una manifestazione, per esempio a una manifestazione antifascista. Vedrete che nessuno si azzarda a dire neanche un minimo insulto contro la polizia, non una parolaccetta, non un solo lancio d’oggetti, non uno sfondamento solidale di barricata mentre lasciano sfilare quei ridicoli attivisti neri.

In un’azienda l’autorità si chiama “capo”. Ecco un esempio pratico.

Mi accorgo per sbaglio che qualcuno che sta sopra di me ha fatto una cazzata colossale. Visto che qui i salti da un gradino all’altro della piramide insidiosa non sono ben visti - cioè non posso avere contatti diretti con un superiorissimo ma devo girare sempre lavori e comunicazioni a una persona, che poi a sua volta e senza controllare girerà a un’altra che poi, sempre a sua volta e ancora senza controllare, girerà a un’altra – e così via per un numero infinito di passaggi e con un enorme dispendio di tempo. Comunque, beccato l’erroraccio, dico alla mia collega, la quale deve girare il mio lavoro al suo capo: “Heidi, stai attenta! Ho trovato questo e quest’altro. Mi raccomando fallo notare quando giri il lavoro così il tuo capo può correggere in tempo”.

Una settimana dopo: casini. Il capo della mia collega è nero! Si è reso conto che qualcosa nel lavoro non ha funzionato e ora si prevedono perdite, piuttosto che cadute d’immagine, piuttosto che ridicolizzazione e gogna mediatica. A me la cosa sembra strana.

“Heidi non capisco cosa sia successo, non avevo mica trovato quell’errore lì? Tu l’hai girato il mio messaggio che conteneva un ACHTUNG scritto in rosso con carattere 64, no!?”


Silenzio.


“Heidi, l’avevi detto al tuo capo della svista nella terza pagina della presentazione, vero.”


Silenzio.


Testa bassa.

“Ma perché non glie l’hai fatto notare? Sai quanti casini ci saremmo risparmiati?”

Perché non posso far notare al mio capo che ha fatto una cazzata. È un mio superiore e io devo portare rispetto. E poi non è educato né tantomeno corretto mettersi a fare le maestrine. E poi io ho paura che mi sbattano fuori ...

Di questi esempi ne potrei citare a migliaia, ne vedo tutti i giorni.

In generale qui non amano far notare gli errori e criticarsi a vicenda, anche nel caso di critiche costruttive. Per loro è una minaccia all’armonia del lavoro di squadra. Inoltre il volere, il gusto, il piano del capo non si discutono.

Entriamo in una sala riunioni: nessuno si scalda, tutti composti, tutti ossequiosi quando il capo parla. E anche quando la sparata è grottesca nessuno si azzarda a contraddire. Però io sono diversa, sanguigna, italiana e spesso davanti alla stupidità non riesco a tapparmi la bocca. Prima o poi la pagherò.


Chissà da dove deriva tutto questo rispetto. C’è forse lo zampino di Lutero che con la sua austera dottrina ha influenzato secoli di generazioni più o meno protestanti? Oppure da qualche parte c’è scritto che l’autorità non va messa in discussione? D’altronde nel momento in cui una regola viene fermata su un foglio per i tedeschi diventa legge, infrangerla è proibito, nessuno ci prova, scavalcare un precetto è qualcosa a cui nessuno osa anche solo pensare.


Comunque Heidi, se ti sbattono fuori te la tengo aperta io la porta quando esci!